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Provvigioni - Cassazione Penale: l’agente immobiliare che ha ricevuto la provvigione non può incassarla prima di aver maturato il diritto alla riscossione

Provvigioni - Cassazione Penale: l’agente immobiliare che ha ricevuto la provvigione non può incassarla prima di aver maturato il diritto alla riscossione
Provvigioni - Cassazione Penale: l’agente immobiliare che ha ricevuto la provvigione non può incassarla prima di aver maturato il diritto alla riscossione

La Corte di Cassazione ha stabilito che commette illecito l’agente immobiliare che incassa la provvigione prima di poterla riscuotere a norma di legge. Infatti, non è possibile versare l’importo dell’assegno sul proprio conto corrente prima di aver concluso la relativa vendita dell’immobile.

Nel caso di specie, soli due giorni dal conferimento non rappresentano una scadenza ragionevole, soprattutto perché la conclusione dell’affare rimane ancora incerta. Tale condotta dimostra un manifesto dolo dell’agente immobiliare, che sarà quindi soggetto alla relativa disciplina penale. 

 

La vicenda

L’agente immobiliare in questione era stato incaricato di condurre un affare relativo alla compravendita di un immobile. Prima che il contratto fosse concluso, il venditore aveva già ricevuto un assegno di 10.650 Euro “a garanzia del pagamento delle provvigioni” e lo aveva incassato appena dopo due giorni.

Egli, perciò, aveva compiuto tale operazione prima di aver maturato un qualsiasi diritto a una legittima riscossione. L’incasso preventivo configura un illecito ai sensi dell’articolo 646 del Codice penale.

Non avendo concluso l’affare, i contraenti hanno deciso di ricorrere per vie legali, fino a giungere in Cassazione.

 

L’assegno

La prima motivazione che il ricorrente ha portato alla suprema corte riguarda l’utilizvzo che è stato fatto dell’assegno. Egli, infatti, lamenta che esso rappresentasse una idonea garanzia per l’affare che le parti stavano trattando, e che quindi potesse essere incassato a titolo idoneo in ogni momento successivo alla sua consegna.

La risposta della Cassazione, invece, si fonda sulla funzione originaria dell’assegno, ossia quella di titolo di creditoCome tale, era destinato a circolare secondo la relativa disciplina. Le parti hanno stravolto la sua finalità, utilizzandolo come garanzia per le obbligazioni pattuite.

Infatti, i titoli di credito non sono adatti a garantire l’adempimento delle obbligazioni di un contratto e nemmeno le stesse parti possono modificarne la funzione in virtù della loro autonomia contrattuale. La fattispecie, secondo la Cassazione, va dunque necessariamente ricondotta sotto l’ipotesi dell’articolo 646 del Codice penale.

 

La paura 

In secondo luogo, il ricorrente sostiene di aver incassato immediatamente l’assegno perché spinto dal timore di essere derubato. Tale doglianza è ritenuta infondata dalla Cassazione, dal momento che l’incasso era avvenuto senza il consenso del secondo contraente.

Perciò, il versamento dell’importo sul conto corrente costituiva atto in contrasto con ciò che era stato deciso in sede negoziale. La Corte conclude che il reato emerge dalla “coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto”.

Infine, essendo evidente il dolo soggettivo dell’agente, il ricorso non può che essere rigettato, e il ricorrente condannato per reato di appropriazione indebita. 

(Corte di Cassazione - Seconda Sezione Penale, Sentenza 19 marzo 2018, n. 12577)